San Vito a Roma

Per gentile e amichevole concessione di Jean-Marie Martin e Bernadette Martin-Hisard
(estratto da: Chemins de Liberté. Mélanges en honneur de Guy Lafon, Éditions de la Nouvelle Alliance)

Nei racconti agiografici che accompagnano il suo precettore Modesto e la sua nutrice Crescenza, Vito, in latino Vitus, è un giovane cristiano la cui vita, sotto la costante protezione di un angelo custode, comincia all’epoca di Diocleziano (284-305), in Italia meridionale, in Lucania. (2) La sua pietà, i suoi miracoli e le conversioni gli procurarono persecuzioni da parte di  suo padre Ila e del giudice Valeriano, ciò lo costrinse a partire, all’età di sette anni, verso un’altra regione della Lucania dove proseguì la sua azione. Una volta a Roma, guarì il figlio di Diocleziano, così si ritrova presto in balia delle persecuzioni dell’imperatore, le cui torture, condussero alla sua fine e a quella dei suoi due compagni; la loro morte non sopraggiunge, miracolosamente, che in Lucania. Apostolo, taumaturgo, guaritore, confessore e alla fine martire, questo santo, è stato l’oggetto nel corso del Medio Evo e per la maggior parte del mondo occidentale cristiano, di un culto che non ha mai smesso di arricchirsi di testi e di immagini fino a fargli posto tra i 14 Santi ausiliari reputati per l’efficacia della loro intercessione come specialisti della rabbia, dell’epilessia, del ballo detto di san Vito, dei morsi delle bestie velenose…, un culto che acquista una dimensione folcloristica sottolineata dalla piccola catena spesso rappresentata ai suoi piedi. (3)

La prima immagine conosciuta di Vito si trova a Roma, nella chiesa inferiore della basilica di San Clemente, su un affresco della parete orientale della navata.(4) L’affresco che appartiene ad un ciclo cristologico mal conservato, è organizzato su tre livelli, la parte centrale del livello inferiore è occupata da un rettangolo di pietra quadrata scavata da un ovale, generalmente definito come il posto di una pietra reliquiaria. Sul livello superiore, su uno sfondo blu che rappresenta il cielo, Cristo troneggia nella gloria sostenuto da quattro angeli. Sotto, al livello mediano sempre blu, Maria  è in piedi, in orazione; i suoi piedi che riposano sulla pietra reliquiaria, appartengono al registro inferiore. A quest’ultimo livello, su uno sfondo rosso, gli apostoli sono raffigurati in due gruppi, da una parte all’altra delle pietra reliquiaria, stupefatti e inquieti, in movimento, gli uni tesi verso  l’ altezza che altri indicano con un braccio alzato, altri prostrati e in lacrime. Da ogni parte degli apostoli, due figure ieratiche si innalzano, simmetriche in piedi e di faccia, identificabili dal loro nome epigrafato: all’estrema sinistra, per chi guarda l’affresco, il papa Leone IV (aprile 847- Luglio 855), in vesti liturgiche, la cui aureola quadrata permette di far risalire l’affresco al suo pontificato;(5) all’estremità destra un personaggio dalla barba rotonda, dai capelli corti e piuttosto grigi, con una chierica analoga a quella del papa, il braccio destro ripiegato sul petto, una croce stretta nelle mani; porta come gli apostoli e come il papa, una lunga tunica bianca a doppia striscia rossa verticale, le maniche lunghe; come gli altri, sembra che abbia i piedi nudi, o in tutti i casi non porta che dei semplici sandali; un mantello rosso, che non è una clamide, passa sulla sua spalla sinistra, dalla quale scende una sorta di sciarpa, (una stola?) rossa, e dissimula il suo braccio sinistro: sanctus Vitus. Il Papa e Vito sono così associati in una rappresentazione che si potrebbe dire classica dell’Ascensione, se non ci fosse il posto di Maria, non tra i due gruppi di apostoli, nel registro inferiore, – il posto è occupato dalla pietra detta reliquiaria – ma al di sopra di essi, benché sempre collegata  dai piedi all’universo terrestre.

A giudicare dalla croce e forse dal colore rosso del mantello Vito è raffigurato nel martirio; ma la sua statura analoga a quella del papa e la barba, ne fanno un adulto, forse anche di una certa età; per la sua chierica e i suoi vestiti, fa pensare ad un monaco, o piuttosto a un chierico, forse un diacono, se si interpreta la stola come un ôrarion diaconale; egli è sobriamente vestito e calzato, alla maniera degli apostoli.

Tutte le Passioni di Vito lo definiscono, ciononostante, come un puer.

Due altre immagini un po’ più tardive, rappresentano Vito come un fanciullo (6). La prima, che può essere fatta risalire al X secolo, si trova nella provincia di Salerno, in Campania, nella grotta di San Michele ad Olevano sul Tusciano; in una nicchia, Vito è rappresentato in piedi, giovane e imberbe, vestito con una tunica grigia blu, con grande fascia inferiore, che lascia intravedere delle eleganti scarpe, che ricopre una clamide rossa, preziosamente chiusa sulla spalla sinistra e arricchita da un tablion ; Vito tiene nelle mani due simboli del martirio, corona nella mano sinistra, croce nella mano destra; sulla parete, da ogni lato della nicchia, sussistono gli elementi di un martirio di San Vito; si vedono dei personaggi che guardano verso l’alto e tirano chiaramente delle corde. La seconda rappresentazione, dell’ultimo quarto del secolo XII, si trova in Sicilia, nella cattedrale di Monreale: Vito è in piedi, giovane e imberbe, su un pilastro del coro, porta una tunica verde con una fascia inferiore dorata, che lascia intravedere delle belle scarpe; la sua clamide blu è ornata da un tablion e chiusa sulla spalla destra; con una mano sinistra invisibile egli tiene la corona del martirio, il palmo della destra teso davanti a lui (7); san Modesto, nettamente più grande e barbuto, gli fa eco su un pilastro simmetrico.(8)

Senza somigliarsi, questi due Vito, della Campania o della Sicilia, nei tratti di un adolescente martire riccamente vestito(9), sono molto diversi dal Vito romano adulto, rappresentato in buona compagnia in una composizione cristologica. Ci siamo chiesti se lo sviluppo del culto di Vito a Roma poteva aiutare a capire questa prima rappresentazione, poco conforme ai dati agiografici(10).

La prima menzione di un culto di Vito risale alla metà o alla  seconda metà del V secolo, essa si trova nel Martirologio hiéronymien e non riguarda Roma: il 17 delle calende di luglio; anche il 15 giugno, il Martirologio fa menzione di una festa di compleanno di Vito in Lucania e di una festa di Vito, Modesto e Crescenza in Sicilia. (11) Il nome di Vitus, di origine incerta, ad oggi è  poco attestato, e senza dubbio non ha nulla a che vedere con il santo omonimo. (12) Ma San Vito è conosciuto a Roma, in tutti i casi dal papa, alla fine del V secolo, poiché una lettera del papa Gelasio I (492-496) evoca un’oratoria che una pia donna in honorem sancti Viti confessoris eius nomine cupit consacran (13). Circa un secolo dopo, due lettere del papa Gregorio Magno (590-604) menzionano due monasteri dedicati a Vito: un monastero femminile, fondato recentemente in Sardegna, a Cagliari, ed un altro maschile, in Sicilia, sulle pendici dell’Etna, nella diocesi di Catania. (14) Niente, tuttavia, permette di dire che Vito sia  venerato particolarmente a Roma.

La situazione cambia nel corso del VII secolo. In effetti, una festa di Vito è attestata dal Liber sacramentorum Romanae Ecclesia ordinis anni circuli, detta anche Sacramentario gelasiano, la cui redazione, attribuita al papa Gelasio I, è una realtà posteriore al 628 (15). Nato nell’ Urbs sacra dalle necessità liturgiche dei diversi tituli e altri edifici di culto che vi si erano moltiplicati, (16) questo Sacramentario ci informa sulla liturgia in uso a Roma nel corso del VII secolo e all’inizio del VIII secolo. Il Santorale, consacrato alle orazioni e alle preghiere de nataliitis sanctorum, contiene il 15 giugno una solennità in natali sancti Viti; una delle tre preghiere proposte in questo giorno  che appare come epigrafe a questo articolo, invoca esplicitamente Vito, ma non ci dice niente sul santo  e sul grado di conoscenza che si aveva di lui; almeno si può confermare che dunque a Roma era oggetto di un culto riconosciuto officialmente, in tutte le chiese romane o forse solamente in quelle a lui consacrate. Di queste non ce ne è traccia, prima del VIII secolo (17). All’epoca la Notitia ecclesiarum urbis Romae (18) menziona un altare sancti Viti nella basilica di San Pietro (19). La costruzione di tale altare, che posava probabilmente su una reliquia del santo, non si era potuta fare ad insaputa del papa; essa risale ad un’epoca anteriore al manoscritto che ha trasmesso la fonte, per esempio del VII secolo che vede il Sacramentario gelasiano aperto a Vito e al suo culto. Si sa che sotto papa Conone (686-687) il patrimonio di cui il papato disponeva in Lucania fu oggetto di favori fiscali speciali da parte dell’imperatore Giustiniano II (20); questo può indicare un interesse per la regione nel corso di questo secolo negli ambienti pontifici (21).

Il culto di Vito è attestato soprattutto in seguito nella parte orientale di Roma, nella zona dell’Esquilino che offrì molto presto una forte densità di edifici di culto (22). Un quarto dei tituli romani si trovava già all’epoca post-costantiniana (23), tra cui San Clemente nella prima metà del IV secolo (24); nella prima parte del V secolo il papa Sisto III (432-440) vi consacra alla Vergine una basilica, il 5 agosto (senza dubbio 434), la prima basilica romana voluta da un papa, la prima basilica mariana di Roma e dell’Occidente, nota coma Santa Maria, o anche, nel VI-VII secolo, come Santa Maria del Presepe (ad Praesepem), poi Santa Maria Maggiore (25). Sette altri tituli, di cui San Clemente, la servivano, ciascuno un giorno a settimana. Dei 18 monasteri che non avevano tardato a localizzarzi sempre all’Esquilino, alcuni vi assicuravano la liturgia delle Ore (26). Questa è la zona, dominata da Santa Maria, in cui il culto di Vito è attestato dal VIII secolo da un monastero e una diaconia.

Un oratorium sanctii Viti qui ponitur in monasterio qui appellatur de Sardas fu il beneficiaro delle generosità di Leone III (795-816) alla fine del VIII secolo (27); lo fu di nuovo sotto Bendetto III (855-858) sotto il nome di monasterium beati Viti martyris (28). Se ne sanno poche cose, neanche la sua ubicazione è precisa; era anche noto nel X secolo dove a volte è designato come monasterium S. Viti qui appellatur maiore (29) e  menzionato anche come una ecclesia sancti Viti in Campo <que> non habet servitorem (30).

Il secondo edificio dedicato a Vito è più interessante; si tratta di una diaconia detta di Sancti Viti in macello, che si trovava vicino al vecchio mercato alimentare noto come macellum Liviae, fuori della recinzione serviana e vicino alla Porta Esquilina, in un posto segnato dall’arco di Gallieno, ancora in vigore (31); la chiesa attuale di San Vito e Modesto ne conserva il ricordo. La diaconia è menzionata per la prima volta sotto Stefano III (768-772) come monasterium beati Viti (32); è dunque una delle sedici diaconie che esistevano all’arrivo di Adriano I (772-795), una delle ventiquattro all’inizio del IX secolo (33). La diaconia sancti Viti o beati Viti beneficia ancora della generosità di Leone III (795-816) (34).

La prima menzione di queste costruzioni nel VIII secolo, non pregiudica affatto la  data della loro creazione. Nel 768-772, la diaconia di San Vito poteva già esistere da alcuni decenni. Istituzioni caritatevoli private, apparse in Egitto e poi a Costantinopoli, le diaconie che si svilupparono in alcune città dell’Italia bizantina nel VII e VIII secolo (Napoli, Gaeta), sono attestate per la prima volta a Roma sotto il nome di monasteria diaconiae sotto il papa Bendetto II (684-685) (36); la loro menzione ed il loro sviluppo a Roma risalgono quindi all’epoca ove la città rilevata dall’Impero bizantino e ove undici papi di origine greca o orientale si succedettero sulla cathedra Petri tra il 678 e il 751 (37); la maggior parte furono, del resto, poste sotto il patronato di un santo greco o orientale (38). Affidate a dei monaci o diaconi, che formavano delle <<comunità di carità>>, organizzate attorno ad una cappella e alimentate all’inizio dai loro propri redditi, esse avevano un carattere ecclesiastico ed anche monastico. Il loro numero aumentò progressivamente nella misura in cui aumentò il loro ruolo: servizio materiale dei poveri e dei malati per prima cosa, ma anche accoglienza ed assistenza dei pellegrini nelle loro xenodochia, il tutto con le preoccupazioni relative all’igiene attestate dalla distribuzione del sapone.

Con la sua vicina, la diaconia di Sancte Luciae in Silice o in Orphea (nell’attuale via in Selci), la diaconia Sancti Viti esercitava quasi un monopolio su tutta la zona nord-orientale della città e la sua estrema vicinanza con Santa Maria Maggiore ne accresceva l’importanza; essa era una tappa sull’itinerario che conduceva tramite la via Tiburtina a San Lorenzo fuori le mura ed essa permettava di raggiungere facilmente ciò che, costeggiando da vicino Santa Croce in Gerusalemme, raggiungeva per la via Labicana la basilica dei Santi Marcellino e Paolo; la chiesa cattedrale di Roma e il palazzo episcopale del Laterano, all’epoca luogo della residenza del papa, erano vicini. (39). Si capisce che verso l’800, essa sia divenuta un elemento topografico importante dell’itinerario di Einsiedeln (40) che lo cita a tre riprese, a volte in prossimità di un ninfeo (41). Impossibile, ciononostante, dire se la diaconia di Vito, notamente citata solo nel 768-772, esisteva già nella Roma <<bizantina>>. E’ grande la tentazione di dirlo (42): le risorse di cui essa disponeva, impongono quasi la sua esistenza in una zona importante della vita cristiana della città, zona che senza essa avrebbe potuto essere sprovvista di una tale istituzione (43): facilità di rifornimento dalle grandi assi di circolazione sempre intrattenute, facilità d’accesso all’Aqua Julia (44), che ricorda il ninfeo dell’Itinerario di Einsielden, le cui rovine si vedono sempre nell’angolo nord del giardino di piazza Vittorio (45), prossimità di Santa Maria Maggiore e facilità di accesso a delle grandi basiliche che attiravano i pellegrini sempre più numerosi a Roma.

L’importanza delle diaconie si vede nel loro progressivo aumento numerico e nei doni di cui esse beneficiano da parte dell’alta aristocrazia e soprattutto dei papi; il Liber Pontificalis rileva accuratamente gli atti di benevolenza nei loro riguardi a partire dall’ultimo quarto del secolo IV, sotto Benedetto II ed i suoi successori (46), rilevando così la loro esistenza, ma non la data della loro creazione. Le difficoltà nate  dall’aumentare degli attacchi lombardi, soprattutto in questo momento, rendevano il loro ruolo indispensabile nella vita quoitidiana romana e spiegano gli interventi crescenti del papato.

La prima menzione della diaconia di San Vito nel 768-772 appartiene all’epoca in cui, dalla data simbolica del 754, Roma era uscita dall’area bizantina per entrare nel mondo carolingio al fine di scappare ai lombardi. (47) Fu allora, se si crede ad una fonte del X secolo, che avrebbe avuto luogo la prima traslazione delle reliquie di Vito, da Roma verso il mondo occidentale (48): all’iniziativa dell’abate di San Denis Fulrad, tra le altre reliquie di martiri romani, il corpusculum beatissimi pieri ac sacratissimi martyris Viti e quelli  dei suoi due compagni sarebbero stati trasportati nella Francia occidentale verso il 756 e desposti in un terreno vicino all’abbazia dove restano fino al 834 (49). questo racconto di traslazione, da prendere con evidente prudenza, può essere tuttavia l’eco lontana di una presenza materiale di Vito a Roma, nella metà del VIII secolo, attraverso delle reliquie, vere o supposte, che dei luoghi a lui consacrati -altare, diaconia, monastero – potevano sostenere di avere.

Questa prima menzione della diaconia interviene anche nel momento in cui le diaconie cominiciavano a cambiare natura. Esse passano poco a poco in balia dei pontefici sotto Adriano I (772-795) e Leone III (795-816) che furono non soltanto dei benefattori delle diaconie – come fu in caso, si è detto, per la diaconia di San Vito -, ma anche dei fondatori, i quali accentuarono il ruolo liturgico nella città attraverso la processione settimanale del bagno dei poveri (50). In un momento che noi ignoriamo, le diaconie cominciano ad essere poste sotto l’autorità di un pater e di un dispensator, uno chierico l’altro laico, personaggi spesso di alto rango, a quanto pare designati con l’approvazione pontificia, avendo un posto importante nella gerarchia ecclesiastica e giocando un ruolo prestigioso nelle cerimonie religiose (51); delle iscrizioni di Santa Maria Antica ne fanno fede. Verso l’800 le diaconie cominciavano già a divenire le sedi dei diaconi cardinali (52). La relazione tra diaconia e papi era ormai ben stabilita.

Nella vita di Roma, le diaconie tendono a divenire delle chiese un po’ simili ai tituli presbiteriali; incorporate più strettamente nella via della Chiesa romana, esse contribuivano ormai all’affermazione del potere del papa sulla città. La liturgia delle processioni mariane, che furono istituite sotto Sergio I (686-701) ne è un esempio. In effetti le chiese diaconali sono citate esplicitamente, prima delle stesse chiese titolari, nei preparativi della processione mariana del 2 febbraio (54).Quest’ultima, come le altre processioni mariane, seguiva un itinerario noto, da Sant’Adriano in Foro (55), dove il papa si univa  ai fedeli delle diverse chiese che vi si erano raccolti, fino a Santa Maria Maggiore, via la Subura e l’Argilentum; la processione non poteva non passare vicino le diaconie di Santa Lucia in Silice e San Vito. La festa della Dormitio o Pausatio s. Mariae è attestata a Roma prima del 650 (56). La liturgia della processione del 15 agosto conosce un cambiamento sotto Leone IV (847-855), dal primo anno del suo pontificato. Essa, in effetti, cominciava al Laterano; il papa e il clero, preceduti dall’immagine di Cristo (57), attraversavano San Clemente per raggiungere Sant’Adriano, poi, ut mos est, in compagnia dei fedeli, Santa Maria; è nel corso di questa prima celebrazione che un punto vicino santa Lucia vide il papa compiere il miracolo rimasto celebre, dell’annientamento di un mostruoso serpente che, nascosto nelle grotte sotterranee, terrorizzava da tempo le vicinanze di Santa Maria Maggiore (58). Negli anni che seguirono, l’efficace protezione di Leone IV sulla città che si era appena rivelata e che confermò l’estinzione miracolosa dell’incendio del Borgo (59) si concretizzò su più ampia scala: le vittoria di Ostia nel 849, la creazione della città leonina (60), la restaurazione delle fortificazioni di Roma (61) sono prove della presa in carico concreta e materiale da parte del potere pontificio della sicurezza di Roma minacciata dalla selva gens Agarenorum.

Il papa Leone IV fu l’iniziatore della nuova liturgia del 15 agosto che, miracolo e no, fu preludio nel 847 del nuovo ruolo del vescovo di Roma e papa. Il nuovo itinerario diviene la regola (62) ed il senso della festa viene precisato: la processione che partiva dalla cattedrale di Roma di notte terminava a Santa Maria all’alba del 15, quando il levarsi del sole simboleggiava l’ascensione della Vergine che suo Figlio, nella sua icona, era venuto a visitare (63). Descrivendo la processione del 847, il Liber Pontificalis parla già, non più della Dormizione, ma del dies in quo beatae Dei genetricis semperque virginis Mariae Adsumptio caelebratur(64). Questa forse fu la prima celebrazione ufficiale dell’Assunzione di Maria (65), aurora della salvezza, novella Eva vittoriosa sul serpente demoniaco (66).

L’affresco, realizzato sotto gli auspici di Leone IV a San Clemente, titulus collegato a Santa Maria e tappa inevitabile del nuovo itinerario tra il Laterano e Sant’Adriano, ci sembra, quindi, rappresentare l’Ascensione di  Cristo, ma sviluppato secondo la sua prima conseguenza, l’Assunzione di Maria, primizia della salvezza del genere umano (67).

La presenza di sanctus Vitus su un affresco della metà del IX secolo, anch’esso simbolico, indica bene il posto acquisito dal martire Vito a Roma dopo la prima attestazione del suo culto nel VII secolo. Ma il senso che proponiamo di dargli non basta a spiegare il posto riconosciuto a Vito, né l’immagine che ne è data. Questo porta ad un’ultima questione: che si sapeva di Vito a Roma all’epoca di Leone IV?

 

Il testo anonimo di una Passione di Vito, Modesto e Crescenzia è conosciuto in latino grazie a cinque versioni e le loro varianti (68), in greco grazie ad una versione e tre varianti (69), infine in slavo (70). Non abbiamo intenzione di attingere da un dossier su cui altri ricercatori hanno lavorato prima di noi, soprattutto nella sua dimensione latina (71), proponendo delle edizioni (72) e, più di recente, dei nuovi metodi di analisi (73); anche i testi greci sono stati oggetto di preziose osservazioni (74), lasciamo da parte la tradizione slava per totale incompetenza.

All’interno della tradizione latina, tre versioni sono conosciute da un manoscritto del IX secolo (75); due soltanto sono state pubblicate: BHL 8713 nella variante 8713d (76) e BHL 8711 (77); BHL 8712 è rimasta inedita mentre costituiva la versione più diffusa (78); uno dei suoi testimoni, spesso invocato, è un manoscritto della Biblioteca Vaticana, Pal. lat. 846 (f. 101v-103v), copiato a Lorsch nel IX secolo (sigla P ormai) (79), che noi siamo andati a leggere e a trascrivere per scoprire rapidamente che, a parte infime variazioni (80), il testo è lo stesso di quello della versione BHL 8713 nella sua variante B, edita da Kappel a partire dai due manoscritti del XII secolo, il Vindob. lat 336 (f. 331b-334a) e il Monac. lat. 22241 (f. 164a-167a), base della tradizione slava (81). Abbiamo, dunque, studiato il testo di BHL 8712 a partire dai tre manoscritti P, V e M, con la perfetta coscienza che uno studio seriamente più approfondito dovrebbe allargarsi a tutta la tradizione, almeno ad un numero più grande di testimoni.

Per quello che riguarda la tradizione greca, essa brilla per l’assenza di un’edizione di versioni del XI secolo che sono le più conosciute anticamente (BHG 1876abc) (82). Rifacendoci alle osservazioni di S. Pricoco per il quale alcuni manoscritti che la trasmettono rappresentano un testo <<sostanzialmente identico>> (83), e tenuto conto del grado di conservazione dei manoscritti (84), abbiamo letto e trascritto BHG 1876b nella sua versione della Biblioteca Vaticana, Ottob. gr. 1, f, 282v-287.

Riservando l’edizione di due testi trascritti per un’altra pubblicazione, li presentiamo qui, in appendice, sotto forma più accessibile di una tradizione <<critica>>, divisa in paragrafi, stabilita sul  testo greco di BHG 1876b, senza ricerca di eleganza letteraria, ma destinata soprattutto a facilitare il confronto con il testo latino di BHL 8712 di cui abbiamo indicato con delle note le più significative omissioni, aggiunte, similitudini e varianti secondo P, V e M.

Disponendo di tre versioni latine che circolavano nel IX secolo, e del testo greco della Passione di Vito, possiamo dunque provare a definire ciò che unisce e che permette già di mettere in evidenza un modello comparativo del § 1 (85) e della fine del § 8 (86) ed un estratto del § 14 (87).

La lettura parallela delle tre versioni latine conosciute nel IX secolo permette di dire che esse non hanno delle vere differenze se non stilistiche: la storia che raccontano è rigorosamente identica, senza aggiunta del minimo episodio o citazioni bibliche, senza a volte le stesse singolarità di vocabolario; ma nel BHL 8713d i dialoghi e i passaggi intermedi tendono ad allungarsi, ad essere più espliciti, più discorsivi, ed anche ad usare delle glosse che suggeriscono un modello giudicato insufficiente (così nel § 21, n. 341); eppure di tanto in tanto il testo è più breve; 8711 è globalmente più sviluppato (vedere § 7, n. 178) e, per certi versi, scritto meglio e in modo più elegante, ciò che può spiegare una tradizione piuttosto ricca (secondo l’editore) mentre 8713d non è conosciuta che per un solo manoscritto. In confronto il testo di BHL 8712 è molto corto, a volte ellittico, piuttosto goffo e maldestro; gli mancano nel desinit le coordinate agiografiche della data di morte; non ha in tutti i casi niente del monumento letterario, ciò che non gli ha impedito di circolare e di trovarsi più tardi nel BHL 8713b. Queste tre versioni non sono quindi delle creazioni indipendenti l’una dall’altra, ma rinviano ad un modello comune. Questo modello ci sembra rappresentato piuttosto meglio dal BHL 8712; BHL 8711 e 8713d, le cui coordinate di tempo e di luogo sono complete, presentano i tratti di una riscrittura, molto eleaborata e riuscita nel primo caso, più rapida e meno soddisfacente nel secondo.

Anche il testo greco di BHG 1876b non offre grandi qualità letterarie, la sua redazione in frasi corte che comportano raramente più di una subordinata ed il suo vocabolario semplice, nell’insieme sono corretti. Esso ci apporta soprattutto un’indicazione di grande importanza: BHL 8712 è la sola versione latina di cui BHG 1876b sia la traduzione letterale, a meno che non sia l’inverso. I modelli citati prima lo dimostrano, e più ampiamente, la nostra traduzione <<critica>>; ci ritorniamo sottolineando che sarebbe stato impossibile realizzarne una simile con le altre versioni. Ci si trovano dei toponimi quasi identici (88), uno stesso impiego di formule un po’ sconcertanti, come la “buona dolcezza” delle parole di Cristo (89). Ci si trovano degli stessi passaggi oscuri o maldestri (90); lo stesso avverbio sistematicamente utilizzato per ogni miracolo, (nello stesso istante) (91). Anche le differenze poi,  i loro desinit sono ugualmente privi della coordinata agiografica temporale. La sola discordanza -che può venire da un traduttore- si trova nel termine utilizzato per descrivere la graticola del § 20: in latino catasta su cui i martiri extensi sunt, in greco …… “su cui si è sospesi”.

Lo stretto legame che esiste tra BHL 8712 e BHG 1876b si vede anche nel fatto che nessuno dei due testi apporta delle aggiunte rispetto all’altro. Le aggiunte del testo latino (indicate da < > nella traduzione) si riducono ad una parola (Hylas al § 2; audiens al 10§; totus al § 12…), raramente una frase (92); esse corripsondono praticamente in tutti i casi a delle omissioni del testo greco e contribuiscono a renderlo più leggibile. La stessa cosa si può dire all’inverso, ossia di apparenti aggiunte del testo greco (indicate da {} nella traduzione) (93). Infine, BHL 8712 e BHG 1876 si oppongono talvolta alle altre due versioni (94). Questa prossimità non esclude delle varianti. Ma  quasi sempre esse sono minime e non modificano per niente il senso delle frasi, così che nel § 14 il volto (bianco come la neve) di Vito è sicut ignis speciosus nimis in latino (96). Tuttavia, ce ne sono due più importanti alla fine, al § 22 (97) e nel desinit del § 23, Bhg 1876b essendo la sola versione che menziona la costruzione di un santuario dedicato a Vito.

E’quindi evidente che il testo trasmesso in latino da BHL 8712 e quello trasmesso in greco da BHG 1876b sono identici e rimandano esattamente allo stesso originale.

Nel rapido confronto tra BHL 8713b (ed. Kappel) e il testo dei manoscritti greci, Pricocco si era mostrato sensibile alla presenza nel testo latino di forme che giudicava tradotte direttamente dal greco (98) o di costruzioni tipicamente greche (99); ne concluse  quindi che la versione BHL 8713b trasmetteva <<un testo che -a nostra convinzione- traduce il martyrion greco>>, la traduzione gli pareva <<assai aderente>> al greco (100).

E’ possibile, secondo noi, che qualche parola nel BHL 8712 (e talvolta nelle altre due versioni latine) venga dal greco, come cathomus (§2), papas (§3), plasma (§14) (101); ma questo uso può essere  indipendente da una traduzione. In compenso, altre singolarità del testo latino ci sembrano provenire da un modello greco. Così il Trisagion d’Isaia è citato nel BHL 8712 non con sanctus, come ci si aspetterebbe, ma con un agios greco traslitterato, ciò che si ritrova fino alle altre versioni, ed anche un ammirabile agius! (102). L’improbabile invocazione a Dio di Elia, al §9 dei tre manoscritti PVM, risulta secondo noi, dall”errato deciframento di un traduttore dell’abbreviazione di Israele, IHL I IÉL, classico in greco e costantemente utilizzato nel BHG 8716b (103). Infine, nella lista delle divinità, romane classiche, al §4 e 10, il latino introduce tra Giove e Ercole, un dio Arfam, che è fuggito a tutte le nostre ricerche e che è assente nelle altre due versioni in latino; al suo posto BHG 8716b propone un dio molto più soddisfacente, ma assente dal latino: Arfam/Arfas ci sembra derivi da una sbagliata lettura di Hermes. (104).

Così, elargendo l’ipotesi di Pricocco che si rifaceva alla sola versione latina più tarda, BHL 8713b, pensiamo di poter dire che BHL 8711 rappresenta nel IX secolo la versione latina, quasi letterale, di un testo greco della Passione di Vito, Modesto e Crescenzia, e non l’inverso. BHL 8711 e 8713b, per alcune parole e formule, mantengono unicamente l’eco di un’origine greca. Per questa ragione, pensiamo che la loro redazione, di cui abbiamo già notato prima il carattere metafrasistico, è posteriore a quella di BHL 8712.

BHL 8712, 8711 e 8713d non sono dunque due versioni diverse della Passione; secondo la nostra ipotesi, 8711 e 8713d sono due riscritture di un unico archetipo latino, di cui il più antico testimone, BHL 8712, si rivela essere la traduzione di un originale greco, attestato al XI secolo da BHG 1876d. Che Vito sia stato l’oggetto di un testo greco non ha di che sorprendere: suo padre Hylas, avendo un nome greco, doveva essere greco, come tenderebbe anche a provarlo la scelta che ne è stata fatta di patrono di una diaconia romana (105).

L’archetipo latino doveva avere una certa anzianità, poiché secondo la tradizione manoscritta, tre testi latini diversi, ma affini, esistevano nel IX secolo (uno di essi circolava già in Germania), l’archetipo latino doveva avere già una certa anzianità. Potrebbe essere, quindi, la fonte della nota consacrata da Beda il Venerabile (672-735) a Vito, Modesto e Crescenzia, nel Martirologio che compose verso il 725 (106).

La trama del racconto, i personaggi (angelo compreso), la successione delle torture fino ai microtoponimi (107), sono quelle delle tre Passioni di Vito (108). Beda, dunque, non ha inventato niente come poteva dubitarsi; ma la sua nota permette di stabilire l’esistenza dell’archetipo latino prima dell’inizio del VIII secolo, nella seconda metà del VII secolo, anzi prima (109), ciò che anticipa molto la redazione dell’archetipo greco: quest’ultimo scritto più tardi nella seconda metà del VII secolo.

Il luogo della redazione della prima Passione greca  deve situarsi in Italia meridionale. A differenza di Roma, molto evanescente nel testo, la Lucania è in effetti la sola regione per la quale  abbiamo dei toponimi e anche dei microtoponimi (110), molto precisi, perchè delle ricerche archeologiche recenti li hanno chiariti e precisati (111). Il testo greco, quindi, ha potuto essere scritto a sostegno di un culto lucano, già attestato nel V secolo nel Martirologio hiéronymien ,un culto molto dinamico per essere già attestato nella stessa epoca ad ovest e per aver raggiunto la Sardegna nel secolo seguente. La redazione si colloca dunque, tra il V e la metà del VII secolo.

Non è certo, che anche la Passione sia stata scritta in Lucania; la regione non è molto nota come un grande focolaio di produzione agiografico greco e l’importanza della sua popolazione ellenofona, sembra essere stata piuttosto ristretta (112). Napoli e la sua regione offrono un terreno migliore, anche se il culto di Vito non vi è suggerito che nella seconda metà del IX secolo dal famoso Calendario di marmo di Napoli (113). Non è che l’elemento greco sia stato mai veramente importante, ma fu sostenuto nel VI secolo dalla presenza di alti funzionari bizantini necessariamente ellenefoni. L’arrivo di monaci orientali senza dubbio vi ha, rinforzato l’ellenismo nel VII e nel VIII secolo. Scritta a Napoli o nei suoi dintorni, anche la Passione avrebbe potuto essere ugualmente tradotta in questo mediocre latino che abbiamo constatato; l’esistenza di traduzioni simili, dovute non a dei Latini ma anch’esse da Greci, vi ha in effetti postulato in modo convincente, il carattere dei temi mal riusciti che ne derivavano, spiegando, nel IX secolo, all’epoca della grande agiografia greca napoletana, revisione, ri-scrittura ed anche le nuove traduzioni (114). Tuttavia, niente non  permette di assicurare veramente, che la redazione greca della Passione di Vito venga da Napoli. Quanto alla traduzione latina, essa avrebbe potuto vedere il giorno a Roma, nel VIII secolo, quando il culto di Vito vi è attestato e che il Martirologio di Beda ci permette di affermare la sua esistenza; ci sembra, in effetti, ragionevole pensare che la fonte di Beda fu BHL 8712. Una fondazione della diaconia di San Vito in questa stessa epoca sarebbe stata una circostanza favorevole alla realizzazione di una traduzione latina, ma essa non può essere stabilita (115). La metafrase rappresentata da BHL 8711, di cui si è notata la bellissima fattura, ha potuto accompagnare lo sviluppo delle donazioni di cui la diaconia fu oggetto nella seconda metà del VIII secolo, dopo l’ancoraggio di Roma nell’Occidente carolingio.

 

Per quali siano le date esatte, si è sicuri su molti punti: il culto di Vito era celebrato a Roma nel VII secolo; la sua Passione, tradotta in latino, permetteva di conoscere il santo martire con una certa precisione dalla seconda metà o alla fine del VII secolo; la sua diaconia non può che servire per l’influenza del suo culto attorno a Santa Maria Maggiore dalla seconda metà dell’VIII secolo; la sua rappresentazione sull’affresco originale di San Clemente prova la realtà della sua inserzione nella vita religiosa di Roma nella metà del IX secolo.

La Passione permette di avanzare alcune ipotesi sulla scelta che fu fatta allora di Vito.

Poteva essere giudizioso scegliere di rappresentare su questo affresco un santo d’origine greca o orientale come testimone e garante di una festa venuta dall’Oriente sotto la forma originale della Dormizione e divenendo Assunzione a Roma. Il santo patrono di una diaconia, che si trovava sull’itinerario della processione, non lontano da Santa Maria Maggiore, era a questo proposito, una scelta tanto  migliore in quanto Vito aveva più titoli degli altri per essere così ritenuto. In effetti, anche se l’autore greco della Passione, lavorando per un culto lucano, aveva lasciato nel vago la città di Roma che non è nemmeno il luogo ove si consuma il martirio del suo eroe, gran parte della storia di Vito si svolge qui (§ 14-20). L’Urbs sacra è il quadro della sua confessione in tre grandi scene di supplizio che, venendo dopo una miracolosa liberazione dalla prigione da parte di Cristo stesso (§17), si svolgono alla vista  di tutti (§18,19,20) provocando delle conseguenze che si fanno sentire per tutta la città: crollo di templi pagani, morte dei non credenti e conversione di massa al <<Dio di questo giovane>>. A causa sua, Roma vede l’imperatore piegato dallo spavento e terrorizzato (§14,16); la città lo vedeva fuggire (§20) e udtí   confessare la sua sconfitta:<<Maldetto me, sono stato vinto da questo giovane!>> (§20). Vito muore altrove con i suoi compagni, ma alla fine di un viaggio in aria (§21). Vito è quindi il più romano dei santi orientali, patroni di diaconie romane. (116)

Chi, dunque, poteva essere associato meglio alla rappresentazione di una festa orientale latinizzata, che questo giovinetto che aveva un particolare diritto alla venerazione dei cristiani della città, umile (tantillus, simplex, §13,14) e libero (securus, § 5), che guardava dall’alto i beni di questo mondo, (§ 15), come lascia intendere il Sacramentario gelsiano, omettendo la sua compassione spontanea per la sofferenza (§ 6, 10, 13, 14, 20), il suo sorriso (§ 10,19) e la luce che lo avvolgeva o lo trasfigurava (§ 8,14, 16, 18). Eppure, non è sotto i tratti di un giovinetto che  colui che  commissiona l’affresco ha fatto rappresentare questo lucano greco romanizzato. Adulto e clericale, non è piuttosto qui che era nella sua potenza: un pater diaconiae al servizio dei poveri? Attraverso la sua immagine egli incarna forse l’istituzione diaconale stessa, associata la potere pontificio; qui, si suggerirà anche un po’ umoristicamente (ma Leone IV poteva?) che niente di meglio che Vito poteva rappresentare questa istituzione da poco rifocalizzata sui bagni di cui conosceva i benefici  e le esigenze: cuocendo nel calderone, non ringraziò l’imperatore di avergli preparato un bagno, biasimando tuttavia l’assenza di asciugamani (§ 18)?

 

Traduzione <<critica>> della Passione di Vito  (BHG 1876b) (117).

Nella regione della Lucania (118), all’epoca dell’imperatore Diocleziano <> (119), il beato Vito faceva numerosi miracoli durante la sua infanzia; temendo il Signore del cielo e della terra, pregava Dio giorno e notte, convertendo le anime dei non credenti e si dedicava alle opere caritatevoli verso le vedove e gli orfani. Era di famiglia nobile <> (122) e ardente nella preghiera, vestito di un cilicio, pregava Cristo dicendo: <<Abbi pietà (Signore) del tuo servo (123) e non mi allontanare dai tuoi comandamenti (124), non mi separare dai <> tuoi giusti (125).>> Suo padre era un idolatra (126) empio che non si allontanava dal culto degli idoli. Una voce venne dal cielo (al beato) dicendo:<<Vito, la tua preghiera è stata ascoltata ed io farò per te tutto quello che hai chiesto (127)>>.

Suo padre <> (128) faceva pressione (129) sul {santo}ragazzo per condurlo al culto degli idoli; a questi il beato Vito rispondeva dicendo: <<Io non conosco ci sia un altro dio se non quello che dimora nell’eternità, il cui Spirito ha posto al di sopra delle acque, che ha separato la luce dalle tenebre e ha chiamato la luce giorno (131); è lui che io servo <> (132), il re degli angeli (133) che ha fatto cielo e terra, il mare e tutto quello che è in essi (134),  è lui che io confesso tutti i giorni della mia vita.>> Sentendo questo, il padre ordinò di colpire il giovinetto sulle spalle (135) e disse: <<Chi ti ha insegnato a dire certe cose? Non sai che se l’arconte le sente, tu perirai?>> Il beato Vito disse:<<Queste cose che tu mi senti dire,  me le ha insegnate il Cristo di cui io sono servitore,>>.

Allora chiamò Modesto il suo pedagogo (138) e lo avvertì dicendo: <<Stai attento che non dica mai più queste parole!>> Il beato Vito gli rispose: <<Esse per me sono dolcezza (139), secondo il profeta che dice nel salmo 118: “La legge dalla tua bocca (140), più che migliaia d’oro o d’argento; le tue mani mi hanno fatto e formato, insegnami i tuoi voleri (141).>> Un angelo del Signore apparve al fanciullo, dicendo: <<Ti sono stato donato come custode per custodirti fino al giono della tua dipartita e tutto ciò che domanderai {al Signore} ti sarà dato (142).>>

Suo padre {Hylas} piangeva (143) perchè lui era l’unico figlio e con tenere parole lo lusingava per convertirlo al culto degli idoli; san Vito gli rispondeva e diceva: <<A quale dio tu mi ordini di fare sacrifici?>> Suo padre disse: <Non sai che Zeus e Hermes <> (144) ai quali anche gli autokratores (145) sono sottomessi, sono dei?>> San Vito disse: <<Io non ho mai inteso dire che ci siano molteplici dei. Io conosco un solo Dio (146), il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, trinità indivisibile (147).  E piacque al Figlio di Dio di soffrire “volontariamente” (148) a causa dei nostri peccati e ci ha riscattato nel suo sangue, lui che tu padre, ignori. Dunque, se tu vuoi lasciarti {convincere da me} (149), tu riconoscerai che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, il solo (150) che toglie i peccati del mondo.>> Hylas rispose: <<Io so che il Cristo di cui tu parli è stato crocifisso dagli uomini in Giudea ed è stato flagellato davanti a Ponzio Pilato e dopo essere stato frustato è stato alzato per essere crocifisso <> (151).>> San Vito disse: <<La sua tradizione e crocifissione è {salvezza} e riscatto dai peccati, da lui nessuno potrà mai separarmi. Poichè numerosi demoni confessano che egli {è il Figlio di Dio} (152), egli ha ridonato la vista a molti ciechi ed ha guarito numerosi malati {con la parola}.>>

Sentendo questo, Valeriano <> (153) facendo appello a suo padre gli disse :<< Sento che tuo figlio confessa il Cristo che è stato crocifisso in Giudea e che si fa beffe dei nostri dei. Che venga a noi (155).>> Questi essendovi stato portato, l’Eparca seduto in tribuna lo interrogava dicendo: <<Perchè non fai sacrifici agli dei? Non sai che gli autokratores hanno ordinato che sia giustiziato chiunque sia trovato a rendere culto a Cristo, dopo essere stato sottoposto a molte torture?>> Il beato Vito, parlando in tutta libertà (157) e ricolmo di Spirito Santo (158), senza temere(159) ma facendo(160) su di lui il segno del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, aprì la bocca dicendo:<<Io non servo le pietre scolpite (161), ma io ho Dio che la mia anima serve.>> Allora Hylas suo padre, a queste parole (162), gridò a gran voce chiamando tutti i suoi amici (163) dicendo: <<Piangete con me,  perchè io vedo perire il mio figlio unico!>> San Vito disse: <<Io non sono perduto, ma entro nell’assemblea dei giusti (165).>> Valeriano disse:<<Mi ricordo che (166) sei nato da genitori nobili e l’amicizia con tuo padre mi trattiene mentre ho ordinato di farti perire con dei bastoni (167): dammi fiducia e sacrifica agli dei.>>  San Vito disse: <<Ti ho detto una volta che sono cristiano e adoro Cristo, il Figlio di Dio.>>

In collera Valeriano ordinò di colpire il ragazzo sulle spalle. Coloro che tentarono di mettere le mani sul ragazzo, nello stesso istante le loro braccia si inaridirono <> (169). E l’Eparca esclamò: <<Helas, ho perso la mia mano, tormentata dai dolori (170).>> Allora, avendo chiamato il padre del santo, gli disse: <<Tuo figlio, così come lo vedo, è un mago (171)!>> San Vito disse: <<La mia magia è Cristo che m’insegna ogni giorno i suoi comandamenti, di cui io sono servitore e delle opere di cui io sono ricolmo, lui che ha risuscitato i morti e camminato sul mare (172), che ha comandato al mare (173) ed esso ha smesso di agitarsi (174); io sono suo confidente (175). Se i tuoi dei possono, che guariscano la tua mano!>> Valeriano disse: <<E tu puoi farlo? (177))>>. San Vito disse: <<Nel nome di Gesù Cristo posso farlo (178).>> E facendo il segno della croce, guarì la sua mano nell’istante stesso. Allora l’Eparca lo rimise a suo padre dicendo:<<Ritirati e istruisci tuo figlio, perchè si lasci convincere e faccia sacrifici agli dei e che non perisca malamente.>>

Allora suo padre lo condusse dentro casa e con molte parole lusinghiere e con grandi festeggiamenti lo lusingava con chitarre e cembali per sedurlo e fece danzare davanti a lui dei servitori agghindati con cura. E lui, con gli occhi verso il cielo, guardava dicendo:  <<Un cuore contrito e umiliato è sacrificio a Dio (179).>> Suo padre ordinò di preparare  e di ornare la stanza con pietre preziose e di chiuderla dal dentro (180). E lui, entrato ed inginocchiato, pregava il Signore dicendo: <<Dio di Abramo, di Isacco, Dio di Giacobbe, abbi pietà di me, fortificami con la tua potenza affinchè il dragone dell’iniquità (181) non trionfi sul tuo servo (182), perchè il popolo non dica: “Dove è il suo Dio?”(183).

E quando pregava così, brillava nella sua stanza (184) come dodici lampade accese e c’era un profumo come di aromi preziosi (185). E suo padre fu ricolmo di odore (186) così come tutti i domestici che dicevano: <<Non abbiamo mai sentito questo profumo!(187)>>  Hylas disse:<<Gli dei sono venuti in casa (presso mio figlio)>>. E fissando attraverso l’apertura (189) all’interno della stanza (190), i suoi occhi si aprirono e vide sette angeli che si tenevano davanti al ragazzo, avevano delle ali come aquile e dicevano: “Santo, Santo -192), il Signore Sabaoth (193).” E nello stesso istante, Hylas divenne cieco.

Allora il beato Vito pregò per lui dicendo: <<Dio d’Israele (194), Cristo, Figlio di Dio, tu che sei nato da una vergine per opera dello Spirito Santo, non separarmi da mio padre, ma ordina di condurlo nel tuo santo sagrato (195)>>. E l’altro gridava dal dolore dicendo: <<Me sventurato,(196)! Ho perso la luce dei miei occhi !>> Ci fu un clamore da parte dei servitori (197), facevano  lamenti sul loro signore e tutta la città fu sconvolta, tanto che lo stesso eparca (198) Valeriano accorse sul posto. Vedendo Hylas cieco, cercava di sapere cosa gli era successo (199). Hylas rispose: <<Ho guardato con ammirazione (200) dentro la stanza di mio figlio, poichè guardando attentamente, ho visto degli dei che mandavano scintille (201), i cui occhi erano come delle stelle <> (202).>>

Prendendo Hylas, i suoi servitori lo condussero (203) al tempio di Zeus. Ed egli gli prometteva di fargli_ sacrifici (204) dicendo: <<Mio dio, Zeus, se tu mi salvi, ti porterò un toro dalle corna d’ora e delle vergini consacrate.>> Ma Zeus era preso dal sonno (205) e non gli diede alcun soccorso. E lui soffrendo eccessivamente per gli occhi, gridava (206). Il beato fanciullo, inginocchiandosi, supplicava con ardore (207) il Signore, dicendo: <<Tu che hai illuminato Tobit (208) e sollevato Giobbe dalle pene, tu, abbi petà di mio padre se crede in te.>> Avvicinandosi, suo padre che era cieco (209) cadde ai ginocchi di suo figlio e lo pregava dicendo: <<Figlio, abbi pietà di me e salvami da questo dolore.>> San Vito gli rispose: <<Padre, vuoi essere salvato?>> Hylas disse: <<Sì, figlio.>> (210). Il fanciullo beato rispose: <<Allontanati dai demoni e dalle loro opere.>> Egli disse:<<Rinuncio>>. Il santo disse:<< Rinunci a Zeus e ad Hermes, Eracle e Poseidone, Athena e Apollo? (211)>> Hylas rispose :<<Come posso rinunciarvi!>> <> (213). Ed il santo disse: <<Io so che il tuo cuore è indurito; ciononostante a causa di questa folla qui presente, avrò pietà di te.>> E posando la mano sui suoi occhi, delle specie di squame caddero nello stesso istante (214) ed egli recuperò la vista (215). Lui gridò a gran voce dicendo: <<Rendo grazie ai miei dei, perchè sono loro che mi hanno salvato!>> E san Vito <>(216) sorridendo disse: <<Cristo ti ha salvato, non i tuoi dei!>>

Questi cercava con quale supplizio far morire suo figlio. Un angelo del Signore apparve a Modesto (217) dicendo: <<Prendi il fanciullo e scendete verso il mare, troverete un piccolo battello e io vi farò andare verso una terra che ti dirò: << Io vi guiderò>> San Vito aveva sette anni (219). L’angelo del Signore li accompagnò e li guidò fino al mare ove trovarono il battello che Cristo gli aveva preparato e il condottiero 220), che era lì, tenendo il bambino disse: <<Verso quale regione vi affrettate a partire?>> San Vito disse:<<Cristo, che noi serviamo <>, ci guiderà (221).>> Il condottiero disse di nuovo: <<E i soldi per la traversata dove sono?>> Il santo disse: <<Cristo che noi serviamo, ti darà il tuo salario per noi.>> E salirono sul battello e vogando arrivarono ad un luogo chiamato Alektorion (222), e una volta sbarcati, il battello <> (223) divenne invisibile. Videro un fiume chiamato Salernon (224) e lì si rifugiarono sotto un albero (225).

San Vito faceva nuerosi miracoli al punto che (226) delle aquile gli portavano un nutrimento celeste (228) e i demoni gridavano: <<Che c’entri con noi, Vito? Sei venuto a torturarci prima del tempo, perchè mai abbiamo subito tali colpi (229)! Dure sono le tue torture (230), beato Vito (231).>> E <> il popolo (232) accorreva verso di lui e molti si convertivano facendosi battezzare, san Vito li istruiva dicendo: << Ho creduto, anche quando dicevo sono troppo infelice.(233); e in un altro salmo lo stesso profeta dice: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te o Dio (234).>>

Il figlio dell’imperatore Diocleziano, tormentato da un demonio impuro, diceva (235): << Se Vito il lucano non viene, non uscirò mai da questo fanciullo.>> Diocleziano disse:<< E dove possiamo trovare quest’uomo?>> Il demone disse: <<E’ nella città di Agritanoi(236).>> Da questa città (237) l’imperatore ordinò a dei soldati armati di partire rapidamente per portare l’atleta di Cristo. Arrivati, lo trovarono che pregava vicino ad un fiume ed i soldati gli dissero: <<Non sei tu Vito?>> Il beato Vito disse:<<Siete voi che lo dite <>(238).>> I soldati gli dissero: <<L’imperatore ha bisogno di te.>> San Vito disse: <<Io sono un uomo semplice (239), in cosa sono utile all’imperatore?>> Essi dissero: <<Suo figlio è tormentato da un demonio.>> Il santo disse: <<Andiamo da lui>>.

Dal momento in cui arrivarono a Roma, venne informato l’imperatore Diocleziano e, assiso alla tribuna, ordinò di introdurlo davanti a lui (240). Il volto del santo era molto bello e bianco come la neve (241)ed i suoi occhi come un raggio (242) di sole, poichè era inondato della grazia di Cristo. allora Diocleziano gli disse: <<Sei Vito?>> Egli tacque. Non rispondendo venne interrogato Modesto. Era un vegliardo, dai modi semplici (243) e non sapeva cosa rispondere all’imperatore (244), il quale tormentava il vegliardo.. San Vito gli disse:<<Uomo, chi interroghi?>> il vegliardio o il fanciullo? Ed anche ai capelli bianchi devi rendere onore.>> Diocleziano disse: <<Perchè ti arrabbi con noi <> (246)?>> San Vito disse: << Io no, ma Cristo, il Figlio di Dio, di cui io sono il servitore.>> E avvicinandosi al figlio dell’imperatore, gli impose le mani <> (249) dicendo: <<Spirito impuro, allontanati (250) da questa creatura di Dio!>> E nello stesso istante, il demonio uscì e uccise molte persone (252) al punto che Diocleziano stesso fu preso dallo spavento (253).

Allora l’imperatore disse al beato Vito: <<Fidati di me,  ti do un consiglio (254), offri sacrifici agli dei (255) ed io ti darò fino alla metà del mio regno in oro (256), in argento e in vesti (257).>> Il santo gli rispose:<< Il tuo impero e le tue vesti, l’oro e l’argento, io non li desidero (258), e non ne faccio neanche menzione (259). Poichè io ho il mio Signore, Gesù Cristo, il quale, se gli resto fedele, mi darà una veste di immortalità, di cui la tenebra non si impadronirà.>> Diocleziano disse: <<Vito, pensa alla tua vita e fai sacrifici agli dei, così da non morire in malo modo facendo prova di molte torture.>> San Vito disse: <<Ed io aspiro a pervenire a questa vittoria(260) che il Signore ha promesso a me e a tutti i suoi eletti.>>

Quando furono entrati nella prigione (262), ordinò di caricarli di (263) 140 chili di ferro (264) e di sigillare con il suo proprio anello (265) affinchè nessuno portasse loro acqua o pane (266). Essi stavano così in prigione <>(267), quando bruscamente una grande luce li illuminò (268) tanto che le guardie rimasero stupefatte. San Vito gridò a gran voce dicendo: <<Signore, vieni in nostro aiuto, affrettati a liberarci da questo supplizio, come hai salvato i tre ragazzi dalla fornace di fuoco ardente e Susanna dalla falsa accusa.>> Nel medesimo istante <> (269) ci fu un grande terremoto e Cristo discese nello stesso momento (270)con i suoi servitori dicendo: <<Vito, alzati, perchè io sono Gesù Cristo (271).>> E immediatamente il ferro che li circondava fuse come cero (273). E ad una sola voce salmodiavano dicendo: <<Benedetto sia il Signore Dio D’Israele (274) che ha visitato e riscattato i suoi servi (275)!>> Sentendo questo, la guardia della prigione corse al palazzo dicendo (276) all’imperatore (277): <<Tutta la città perisce, la gente è in pericolo.>> L’imperatore terrorizzato disse: <…> (278) >> Coloro che (279) tu hai ordinato di gettare in prigione, una grande gloria di luce è con loro (280) e l’odore di un immenso profumo (281) e <> (282) con lui un uomo, di cui nessuno può indovinare (283) il volto.>>

Allora l’imperatore ordinò ai suoi servi di preparare delle bestie feroci (284), dicendo : <<Gli (285) toglierò l’anima e vedrò se il loro Cristo può salvarli dalle mie mani>>. Quando furono entrati nel teatro <.> (286), san Vito avvertì Modesto <>(287), dicendo: <<Sii forte e non temere la spada del diavolo perchè, vedi (288), la nostra corona è pronta(289)!>>. Tutta la folla <> guardava quanto accadeva (290) e l’imperatore disse al santo: <<Dove ti vedi (291)?>> Il santo aveva gli occhi  tesi verso il cielo. L’imperatore disse di nuovo: <<Dove ti vedi?>>(292). San Vito disse: <<Mi vedo nell’anfiteatro<> (293).>> E l’imperatore gli disse: <<Pensa a te stessa e fa sacrifici agli dei <> (295>>. Il santo disse: << Sii maledetto per sempre (296), figlio del diavolo, lupo rapace, seduttore delle anime! Vedo la tua impudenza, imperatore, sei peggio di un cane (297); perchè se qualcuno dice ad un cane :’Esci’, <> lui esce, ma tu non hai vergogna (298! Io ho il mio Cristo e a lui offro il sacrificio.>>

Allora pieno di furore, l’imperatore ordinò di accende una fornace (299) e di porvi un calderone (300) e di gettarvi (301) del piombo, della resina e della pece. I servi fecero come il padrone aveva detto loro e gettarono l’atleta di Cristo dentro (302). L’imperatore disse al santo: <<Vedi adesso (303) se il tuo dio ti libererà dalle mie mani!>> Gettato nel calderone (304) il beato Vito si fece il segno di croce <> (305) e nello stesso istante un angelo del Signore, scendendo, fermò l’ardore  del calderone. Il santo stando in piedi al centro del calderone con Modesto (306) rivolgeva un inno a Dio dicendo: <<Tu che hai salvato i figli di Israele dalla terra di Egitto e dalla mano del Faraone (307) per mezzo di Mosé e Aronne tuoi servi, abbi pietà di noi per il tuo nome.>> San Vito gridò dicendo:<<Diocleziano, dove sono le tue minacce?Io di dico grazie (308) per quello che ci hai fatto (309), un bagno: ma non ci hai preparato degli asciugamani (310)!>> Tutta la folla gridava dicendo: <<Veramente il Dio di questo fanciullo è grande, poichè mai abbiamo visto tali miracoli! (311)>> Egli uscì indenne dal calderone senza un graffio sul corpo; la sua pelle (312) risplendeva come la neve ed egli disse a Diocleziano:<< Vergognati con tuo padre, il diavolo!>>

Allora l’imperatore <>(313) ordinò di lanciare contro di lui un leone (estremamente grande, molto temibile) <>(314), e disse al santo:<<E su di lui, le tue magie(315), faranno ancora effetto?>>. San Vito disse: <<Insensato e stupido, Cristo è con me <> (316), il quale mi salva dalle tue mani!>> Quando il leone fu lanciato, il santo facendosi il segno di croce spense il suo furore e, cadendo dinanzi a lui gli leccava il sudore  dei piedi (venerabili) (317). Il santo disse all’imperatore: <<Guarda, queste bestie (318) rendono onore a Dio (319)! e tu, così impudente, (320), tu non cambi (321)? Se tu volessi riconoscere e credere in lui (322), saresti salvo.>> L’imperatore disse: <<Tu credi in lui, così come il tuo popolo (323)>> Il santo sorridendo disse: << hai detto bene, perchè tutti quelli del nostro popolo aspirano alla corona eterna <> (324>>. Molti contemplando le meraviglie di Dio, credettero (325), un numero di circa mille uomini. E l’imperatore gli disse:<< Quali sono le tue tecniche, perchè tu comandi al fuoco e alle besti e feroci?>> San Vito gli disse:<< Esse (326) rendono onore a Dio, non a me, perchè riconoscono colui che le ha fatte.>>

Allora l’imperatore ordinò ai suoi servi di preparare uno strumento di tortura  (327) per sospendere (328) i servi di Dio, san Vito, il beato Modesto e la sua nutrice Crescenzia (329), e san Vito gli disse: <<Allontanati dalla donna (330) o vuoi mostrare su di lei la forza dei tuoi supplizi? (331)>> Spinti sullo strumento di tortura furono sottoposti a crudeli supplizi (332). Di nuovo Vito disse all’imperatore: <<Sanguinario e empio (333) quale necessità ti spinge a castigare una donna <> (334)!>> I santi erano torturati (335), san Vito con  gli occhi tesi al cielo verso il Signore, dicendo (336):<< Signore, Gesù Cristo, Dio nostro, salvaci da questa tortura. E, allo stesso istante, ci fu un tuono ed un lampo con terremoto e tutti i templi degli idoli crollarono ed un terzo del popolo cadde e morì. L’imperatore in fuga, colpendosi il volto con le mani, diceva: <<Maledetto me! Sono stato vinto da questo bambino (337)!>>

Allora un angelo del Signore, scendendo, li tolse dallo strumento di tortura e nello stesso istante si trovarono (338) vicino al fiume dove erano stati precedentemente (399) e si riposarono sotto l’albero, chiamando Dio e dicendo (340):<<Signore Gesù Cristo figlio del Dio vivente, accogli le nostre anime presso di te.>> San Vito disse: << Ti chiedo, Signore, che in questo luogo, il giorno della mia festa, non ci sia nemmeno una mosca(341)>>. Dal cielo una voce gli fu rivolta:<< Vito la tua richiesta è stata accordata>>. Ed essi immediatamente misero le loro anime in pace. Le loro anime  apparvero come quelle di colombe bianche come la neve (342), un coro di angeli li accolse dal cielo con canti di salmi <>(343) e delle aquile discesero e custodirono i corpi dei santi per tre giorni.

Florenzia, una donna di rango senatoriale (344) era seduta su un carro e volendo attraversare il fiume (345), improvvisamente le acque la trascinarono (346). Come ella fu in pericolo (347), san Vito le apparvee camminando sulle acque, come fosse sulla terra ferma. Vedendolo la donna gridò: <<Se sei un angelo del Signore salvami da questo pericolo.>> San Vito le rispose:<<Io sono Vito, se tu farai seppellire i nostri corpi (348), qualsiasi cosa tu chiederai al Signore la riceverai.>> Ed ella nello stesso istante fu salvata dall’impetuosità delle acque (e si trovò sulla terra ferma). Immediatamente, avendo raccolto le spoglie dei santi, con degli aromi preziosi (349) ella li depose, (con l’onore che  a loro conveniva),in un luogo chiamato Marianon (350) dove riposarono.

Un santuario (351) fu edificato per i fedeli a nome di San Vito a gloria e a lode di nostro Signore Gesù Cristo a cui sono la gloria e la potenza con il Padre eterno e lo Spirito Santo, che vive e regna ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen (352).

Roma, sull’Esquilino

NOTE

1 H. A. WILSON, The Gelasian Sacramentary: Liber Sacramentorum Romanae Ecclesiae, Oxford 1894, p. 175. Grazie a François Weiser che ci ha segnalato l’attaccamento a questa preghiera del dedicatario di questo volume, al quale si deve questa traduzione: <<Dona alla tua Chiesa, ti preghiamo, Signore, per intercessione di Vito, di non avere il gusto per l’orgoglio, ma di progredire nell’umiltà che ti è gradita, di modo che, guardando dall’alto ciò che è perverso, essa partichi tutto ciò che è diritto con la libertà dell’amore…>>

2 Le tradizioni greche più antiche parlano di Lucania, solamente in seguito di Sicilia (v. più avanti, n. 118). la Lucania (sud-ovest della Campania e ovest della Basilicata attuali) fu all’epoca di Diocleziano riunita alla Calabria (allora chiamata Bruttium); annessa in gran parte dai Lombardi al ducato di Benevento nel VII secolo, essa fu conquistata dai Normanni nel XI. Essa ha una stretta facciata sul mar Tirreno (con Posidonia/Paestum), tra il Sele (una volta Silarius), che la separa dalla Campania, e il Lao che la separa dalla Calabria.

3 D. IANNECCI, Il libro di San Vito. Storia, leggenda e culto di un santo medievale, Penta di Fisciano (SA) 2005. Vedere in particolare pp. 100-101 e, sullo sfondo, E. DE MARTINO, La terra del rimorso. Contributo alla storia religiosa del Sud, 1961, ried. Milano 1996, in particolare p. 158. Il cane sarebbe un simbolo derivato dalla data della festa (15 giugno, segno zodiacale del cane), garanzia di protezione contro i pericoli della canicola e più ampliamente, dell’estate nel mondo paesano.

4 F. GUIDOBALDI, San Clemente, gli edifici romani, la basilica paleocristiana et le fasi altomedievali (San Clemente Miscellany, IV, 2). Roma 1992. Vedere una riproduzione in Rome et Latium romans (Zodiaco. La notte dei tempi 78), Parigi pp. 368-369. Non si può dire niente di un affresco del IX secolo che si trovava a Santa Maria Antica e di cui ne resta che una vaga immagine di Crescenzia. Si può trovare una riproduzione dell’affresco di San Clemente sul sito internet, www.art-history-images.com/photo?id=080416162110 con i dettagli di san Vito sullo stesso sito =080416164226.

5 A meno che, secondo un’altra interpretazione, essa esprime m’adeguamento di questa immagine alle idee del pontefice; ma in questo caso essa sarebbe quasi contemporanea al pontificato.

6 Vedi la riproduzione nel S. BRODBECK, I santi della cattedrale di Monreale in Sicilia, (Collezione della scuola francese di Roma -432) Roma 2010, n°173, pp. 762-765.

7 Ibid. , p. 763.

8 Ibid., n° 131, pp. 615-617.

9 BRODBECK sottolinea la vicinanza di queste due rappresentazioni.

10 Su Roma a quest’epoca: R. KRAUTHEIMER, Roma, Ritratto di una città, 312-1308, tradotto e reso noto da F. MONFRIN…

 

12 E’ portato da due vescovie dell’Asia Minore avendo partecipato al concilio di Costantinopoli nel 381: S. DESTEPHEN, Prosopografia cristiana del Basso-Impero, 3. La docesi dell’Asia (325-641), Parigi 2008. Ma non è sconosciuto nell’occidente latino: un aprete Vito o Vitôn fu legato del papa Silvestro a Arles poi a Nicea nel 325…

 

15 E’ conservato in un unico manoscritto romano, il Vat. Reg. lat. 316, trascritto verso il 750 a Chelles sull’originale. Il santoralenon sembra essere stato toccato dall’aggiunta di elementi franchi su un fondo romano primitivo…

 

18 La Notizia è trasmessa da un unico manoscritto del VIII secolo…

19 (frasi latine) vedere la pianta dell’antica basilica nel Liber pontificalis….con la leggenda p.525; l’altare di san Vito non figura, ma quello di sant’Andrea corrisponde al n° 153. Non abbiamo trovato su lui nessuna informazione: ma il suo ricordo ha fatto forse ritenere Vito tra i 114 santi che coronano il colonnato del Bernini.

 

21 A. DUFOURQ, Études sur le Gesta martyrium romains. II. Le mouvement Légendaire Lérinien, Paris 1907, pp. 165-177: 177, ha suggerito, per Vito in particolare, un possibile legame tra l’introduzione a Roma del culto dei santi non romani e l’esistenza del loro culto nei territori dove la chiesa romana aveva dei patrimoni; altre spiegazione sono ciononostante possibili.

22 Si lascerà da parte  una chiesa attestata solo nel X secolo e di cui non ne sappiamo niente se non che essa era situata, forse a Trastevere; un privilegio pontificio del 10 maggio 998 (II Regesto Sublacense del secolo XI, ed. L. ALLODI e G. LEVI, Roma 1885, p. 29 n.12) di cui si fa allusione a proposito di una domus posita Romae regione septima …

23 L. REEKMANS, L’impianto monumentale cristiano nel paesaggio urbano di Roma dal 300 al 850, negli Atti, cit. n.18, pp. 861-916: 886-891. Sull’Esquilino precristiano e paleocristiano: V. SAXER …

 

25 Essa viene chiamata spesso basilica liberiana, anche se il rapporto (differenza o identità) che essa ha con la basilica costruita dal papa Libero (354-366) resta sempre oscuro: ibid. , pp. 24-59

 

29 E’ citata nel 913, 924, 937, 952, 976 nel Regesto Sublacense

30 HÜLSEN, Le chiese…, op. cit., p. 499, secondo un catalogo delle chiese di Roma del 1321.

31 Vedi G. BIASOTTI, Le diaconie cardinalizie e la Diaconia <<S. Viti in Macello>>, Roma, 1911, e la breve monografia di P. MANCINI…

 

35 Alle opere citate n. 33, aggiungiamo SAXER, La Chiesa di Roma, cit., pp. 584-590; J. Durliat, Dalla città antica alla città bizantina: il problema delle sussistenze (Pubblicazioni della Scuola francese di Roma – 136), Roma 1990, pp. 164-183.

 

38 A parte il patrocinio di Maria su molte di esse e di san Michele (Angelus), c’erano Cosima e Damiano, Adriano, Sergio e Baccus, teodoro, giorgio, Nicola, Eustachio, Agata e Lucia.

 

40 Si designa sotto questo nome un insieme di materiali epigrafici e storici riguardanti Roma e raccolti nel manoscritto di Einsiedeln 326 del IX-X: Itineraria cit. I, pp. 329-343. L’Itinerario in generale risale alla fine del VIII secolo.

41 Tra la Porta  Tiburtina e la Subura, non lontano da Santa Pudenziana …

42 Vedi dopo, n. 115.

43 La diaconia di Santa Lucia, più vicina la centro, non beneficiava degli stessi vantaggi.

44 L’acquedotto dell’ Aqua Julia arrivava alla Porta Maggiore; le sue acque distribuite da canali sotterranei, alimentavano la regione di Santa Maria Maggiore, il Viminale e fino alla e terme di Diocleziano. Alla fine del XII secolo, un bagno è menzionato vicino la diaconia.

45Il ninfeo era stato costruito per Alessandro Severo.

46 Vedi n. 39; queste liberalità sono attestate sotto Giovanni V (685-686), Conon (686-687) e Gregorio II (715-731): Liber pontificalis…

 

48 Solo una vecchia storia regionale, che non cita queste fonti, riporta allo stessio momento di un’altra traslazione delle reliquie di Vito a Pavia nel 755 per iniziativa del re lombardo Astolfo (744-756) che le avrebbe fatte deporre nel monastero di S. Marino: vedi Acta Sabctorum lunii II, PP. 1013-1033.

49 Questa doppia traslazione del 756 e 836 viene raccontata nel testo scritto verso il 970 da Widukind abate di Corvey: I. SCHMALE-OTT ed. trad., Translatio sancti Viti Lartyris. Übertragung derhl Märthyrer Vitus, Münster i. W. 1979.

50 Ibid., I, p. 506; il papa stabilisce che ogni settimana, il giovedi, il poveri sarebbero stati condotti cum psallentio a diaconia usque ad balneum dove avrebbero ricevuto un offerta. Vedi anche DURLIAT, De la ville…, op. cit., p. 175.

51 Ibid., pp 181-182 e n. 47-54. BERTOLINI, Per la storia…, op. cit., pp. 35-39. Lo zio del futuro papa Adriano I, il duca di Roma Teodoto (verso il 728-729) fu così dispensetor laico della diaconia di Santa Maria Antica, nominato con l’accordo del papa, ed egli diviene chierico per essere pater diaconiae.

52 La diaconia di San Vito ha contato particolarmente all’espoca moderna, tra i suoi cardinali, Carlo Borromeo e Ascanio Colonna: BIASOTTI, op. cit., p. 46. Vedi SAXER, La Chiesa di Roma…, op. cit., pp. 493-632.

 

54 Vedi SAXER, Santa Maria Maggiore…, op. cit.,pp. 142-143, secondo l’Ordo Romanus XX, che risale all’epoca di Pépin.

55 La Chiesa di Sant’Adriano occupava sul Forum l’antico edificio della Curia romana.

56 SAXER, Santa Maria Maggiore… op. cit., P.172.

57Vedi E. PARLATO, <<Le icone in processione>>, nell’Arte e iconografia a Roma dal Tardoantico alla fine del Medioevo, a cura di M. Andaloro e S. Romano, Milano 2002, pp.55-72:60.

58 Liber pontificalis cit. II, p. 110. SAXER, Santa Maria Maggiore…, op. cit., pp. 137 e 424 (traduzione del testo Liber pontificalis). Il papa, il quale da molto tempo pregava e digiunava per il popolo a causa di questo serpente segnò nel corso della processione una tappa iuxta basilicam beatae Luciae martyris quae Orphea sita est e la sua preghiera super foramen unde ipsius pestiferi flatus egrediebatur serpentis e fece sparire  la bestia per sempre. L’episodio del serpente ha lasciato il suo ricordo nel nome dell’attuale Via dei Serpenti: ibid., p. 274 e n. 6.

59 R. LUCIANI dir., Santa Maria Maggiore e Roma, 1996, P. 249. L’incendio del borgo èstato immortalato nel 1514-1515 da Raffaello nella Stanze vaticane.

60 Solennemente consacrata il 27 giugno 853, la Città Leonina le cui mura si appoggiavano su Castel Sant’Angelo doveva premunire la basilica ed il suo quartiere da un nuovo saccheggio da parte dei musulmani, analogo a quello del 846.

 

62 SAXER, Santa Maria Maggiore cit. pp. 144-145 e p. 274, sulla base dell‘Ordo Romanus L degli anni 960-962 e dell’Ordo contenuto nel Liber Politicus del canone Benedetto, scritto verso il 1140 per il futuro Celestino II.

63 PARLATO, Le icone…, op. cit., pp. 61-62, che rinvia al sermone 28 di Innocenzo III (PL 217, col. 581-586) ed il commento di Ct 6, 6sq: <<Chi è che sorge come l’aurora…>>

 

65 Il termine Ascensione Assunzione compare verso il 770 nel Sacramentario di Adriano. Adriano I (772-795) e Pasquale I (817-824) offrirono a Santa Maria Maggiore dei paramenti per l’altare rappresentanti il mistero: SAXER, Santa Maria Maggiore…, op. cit., P. 96.

66 Vedi il sermone di Innocenzo III, citato N. 63.

67 La famosa pietra con il suo ovale vuoto, su cui riposano i piedi di Maria, potrebbe rimandare al luogo della Dormizione, lasciato vuoto dall’Assunzione di Maria.

68 Designate dal numero, e eventualmente dalla lettera, che hanno assegnato loro la Bibliotheca Hagiografica Latina antiqua et mediae aetatis. Bruxelles, 1898-1911…

69 Repertori nella Bibliotheca Hagiografica Graeca,3 ed. resa nota e aumentata da F. HALKIN (Subsidia hagiographica-8a), Bruxelles 1957 sotto i numeri 1876 e 1876abc.

 

71 Citiamo un precursore: H. KÖNIGS, Der hl. Vitus und seine Verehrung. Münster 1939, e rimandiamo all’importante e recente contributo di E. D’ANGELO, Agiografia latina del mezzogiorno in Italia (750-1000), nel G. PHILIPPART, Agiografie. Storia internazionale della letteratura latina e vernacolare in Occidente dalle origini al 1550 (Corpus Christianorum. Agiografie -4).Turnhout 2006, pp. 41-134: 91 e 94 n. 228. Ci teniamo a ringraziare calorosamente Guy Philippart, professore emerito all’Università di Namur, che non solo ci ha messo a disposizione un articolo introvabile, ma ci ha trasmesso con fiducia e generosità la documentazione di un lavoro preliminare, che aveva fatto sui testi delle Passioni con quadro sinoptico di qualche Passione latina.

72 Così BHL 8713b in KAPPEL, Die slavische Vituslegende cit.; BHL 8713d in G. PHILIPPART, Una Passio sancti Viti inedita (BHL 8713d) in un manoscritto di Régimbert de Reichenau (846), nel Septuaginta Paulo Spunar oblata (70+2), dir. J.K. KROUPA; Praha 2000, pp. 38-55.

 

74Vedi in particolare S. PRICOCO, Un esempio di agiografia regionale…

75 Noi ignoriamo la tradizione manoscritta di due versioni che pensiamo siano tardive. BHL 8714 è  una versione lunga la cui edizione, fatta nel 1480, è stata ripresa nel 1910: Boninus MOMBRITUIS, Sanctarium, seu vitae sanctorum; novam hanc editionem curaverunt duo monachi Solesmenses [D. A. BRUNET e D. H. QUENTIN]. Paris, 1910, 2 vol.: II, pp. 319-351. BHL 8715 è una Vita abbreviata (Brux. Lat. 98-100, del XIII secolo), seguita da una Translatio non meno abbreviata che si troverebbe sul BHL 8711: vedi Catalogus codicum…

76 G. PHILIPPART, Una Passio…, op. cit., che conosceva un solo manoscritto.

77 BHL 8711 è edita negli Acta Sanctorum lunii II, pp. 1021-1026 (3 ed. III, pp. 499-504), ex variis Codicibus Mss. La sua esistenza nel IX secolo è affermata da PHILIPPART, Una Passio…, op. cit., senza riferimento particolare ad un manoscritto. L’edizione degli AASS è consultabile, con una traduzione italiana, sul sito internet.

78 ibid.: il manoscritto esaminato è del X secolo. D’ANGELO, Agiografia latina cit. pp. 41-134: 91 e 94 n.228.

79 Sul luogo e la data della compilazione: F. DOLBEAU, Le Passionaire de Fulda, Una fonte ignorata dagli Acta Sanctorum  conservata una volta nella Biblioteca degli antichi Bollandisti, in altri manoscritti del IX secolo.

80 La variante più importante riguarda il desinit.

 

84 1876a ha per testimone Vat. gr. 866, f. 356v-359v, a cui mancano gli ultimi fogli. 1876c è rappresentato dal manoscritto milanese Ambros. gr. D 92 sup., F. 228v-233, che sarebbe molto vicino a 1876B.

 

88 Alectorio (§ 11), il fiume chiamato Siler; vicino al territorio Tanagritano (§ 13); Marianon (§22).

89 § 3 Questo passaggio è assente nel BHL 8711; nel BHL 8713d.

90 Diocleziano § 16 ordinò di caricare i prigionieri di pesanti ferri et anulo signari: si capisce da BHL 8711 che si tratta di sigillare la prigione. vedi anche § 11: “la terra in cui ti dirò”; o al § 13 l’attribuzione delle parole del demo,io al figlio dell’imperatore; vedi anche § 17.

91…. Sola eccezione § 11 dove si trova subito nelle tre versioni latine.

92 Così come un versetto biblico al §2; la paura provocata dal leone al § 19 può essere una vera aggiunta, si ritrova nel BHL 8711 ma non nel 8713b. Vedi anche § 16.

93 Così come §11 latino è incomprensibile se non si ristabilisce la menzione greca del pilota. Vedi anche 14, 15, 18 ecc.

94 Per esempio alla fine di § 4, laddove BHL8712 e BHG 1876b evocano i miracoli di guarigione da parte di Cristo, BHL 8711 e 8713d parlano dei miracoli di Vito che guarisce i ciechi e i malati e scaccia i demoni.

95 Alcune non sono che errori all’interno di una tradizione, il …. del §14, evidente errore di lettura del copista greci che ha decifrato male…. ; o anche al § 6, il participio curiosamente messo alla fine.

96 Nel BHL 8711: ….

97 Nel racconto dell’incidente a Florenzia. Vedi BHL 8713d poco esplicito (ed. Philippart cit): …

98 Così, oltre la <<buona dolcezza>> segnalata qui (n. 89), esso rivela alla fine di §3:….; forma verbale che si ritrova in BHL 8711 e 8713d. Si può aggiungere al §1 (et al.): ….

99 Così come l’uso ricorrente nelle preposizioni completive del quia latino, laddove il greco usa on: …

 

102 Vedi n. 86

103 L’invocazione è assente dal BHL 8713d; BHL 8711 ha preferito Deus coeli.

104 Per il § 4, BHL 8711 non dà la lista , BHL 8713d cita soltanto louem, Martem, Apollonem. Al §10 è assente dalla lista di BHG 8711. BHG 8713d non ha la lista. Si trova in compenso nel BHL 8714 trasformato in Apram.

105 Vedi prima, n. 38.

 

107 La Lucania e Roma non sono nominate; la Sicilia è menzionata soltanto in quanto luogo della festa, come nel Martyrologe hièronymien.

108 Sola vatiante, che può provenire da un copista: in Bède, Vito guarisce la figlia di Diocleziano e non il figlio.

109 Ciò che viene in aiuto alle ipotesi di A.DUFOURCQ, <<Il Passionario occidentale  nel VII secolo>>, nel Mèlanges de l’École française de Rome 26, 1906, pp. 27-63; id., Études cit., pp. 165-177 per cui esisteva un Passionario romano  per circulum anni, rappresentato dalla seconda parte del Pal. lat. 846, nel quale la passione di Vito sarebbe stata integrata nella metà del VII secolo.

110 Vedi prima n. 88.

111 M. MELLO, <<Il complesso di S. Vito alla piana: problemi, ricerche, prospettive>>, nel Fra le coste di Amalfi e di Vela. Contributi di storia e archeologia, (Univ. di Salerno, Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Antichità 8) Napoli 1991, pp. 12sq.; A. DI MURO, Le terre del medio e basso Sele in età longobarda: istituzioni, insediamenti ed economia (secc. VII-XI), nella Rassegna di Storia Salernitana 33 (2000), pp. 7-94, con cartina p. 11. Dobbiamo questo riferimento a IANECCI, Il libro …, op. cit., pp. 45-48 e 85-86. Una curtis Sancti Viti di Siler è attestata dal IV secolo al XIII secolo, non lontano dal mare, sull’antica riva sinistra del Sele; si sono ritrovati degli elementi del pavimento di una prima chiesa San Vito che si trovava non lontano dal fiume , e che è stata datata della fine del V o prima metà del VI secolo. A motivo dello spostamento del corso del Sele, San Vito al Sele ora è sulla riva destra del fiume in Campania.

112 Per PRICOCCO, Un esempio…, op. cit., p. 324, è <<un interessante capitolo della letteratura agiografica greca in Lucania>>. Secondo delle note che ci sono state trasmesse per e-mail, G. Philippart ritiene il testo scritto “per un luogo di culto del golfo di Salerno in Campania>>.

113 La nota è breve: M. Iunius. XV. … S. Viti. Vedere H. DELEHAYE, Agiografia napoletana. I. Il calendario di Napoli; II. Fonti e composizione, Analecta Bollandiana 57, 1939, pp. 5-64: 24. Questo Calendario che figura su due placche di marmo della chiesa Da Giovanni Maggiore di napoli associa il calendario proprio di napoli e degli estratti di un calendario bizantino; potrebbe risalire al pontificato di Attanasio I (849-872).

114 Vedi J. -M. Martin, Ellenismo politico, ellenismo religioso e pseudo-ellenismo a Napoli (VII-XII secolo),

115 Vedi n. 42.

116 Vedi n. 41

117 La traduzione è stabilita sul testo d’Ottob. gr. 1, 282v-287r (BHG 1876b); le note rinviano ai manoscritti latini P (Pal. lat. 846, 101v-103v = BHL 8712, inedito), V e M (Vindob. lat. 336,331v-334r e Monac. lat. 22241, 164r-167r = BHL 8713b, editi da KAPPEL, Die Vituslegende…, op. cit.)

Tra parentesi {…}, i passaggi assenti dei tre testi latini; tra sterischi **, i passaggi assenti da alcuni testi latini. Due virgolette < . > indicano una omissione riguardo  ai testi latini.

118 Sulla Lucania, vedi n. 2.  BHG 1876 parla anche della Sicilia, ma perchè l’editore di questa versione, O. Caetani, ha sostituito, volontariamente, le terme di Lucania con quelle della Sicilia: STELLADORO, La Vitae…, op. cit., p. 20 n.8. Sembra, dunque , che la Lucania sia la patria di Vito.

 

133 …. Questa espressione, poco biblica,  si ritrova nel BHL 8713d.

 

148 Ed è piaciuto… volontariamente/ qui passus est P; Christum qui passus est …VM.

 

168 Al posto del contenuto tra parentesi: Caesar P; preses VM.

169 VM add. Sed et manus presidis arefacta est, che dà senso a quanto segue.

170 …………../ torqueor dolore PVM, che è più corretto.

171 Vedi Mt 14,25

 

177 Ergo ti facis P; Tu atem fac VM. Come mostra il passaggio seguente, la frase greca è interrogativa, ma non la frase latina.

 

180 La variante è composta dalla frase greca che segue.

199 L’interrogazione indiretta  del greco è sostituita in latino da un’interrogazione diretta: …

214 Stessa costruzione  in greco e in latino: participio nominativo rapportandosi a Vito, e verbo al plurale legato squame.

218 Stessa forma relativa, in greco e in latino

222 Alectorio PVM. Vedi la cartina di DI MURO, La terra…, op. cit., riprodotta in  IANNECCI, Il libro…, op. cit., p. 48. Alektorion (dal greco alektor) si può tradurre in latino Gallinaceus; M. Mello propone un riferimento alla località Gallara (Quercia Gallara) non lontana dalla chiesa San Vito al Sele.

224 Silarus dell’epoca romana, l’attuale Sele, trasformato in Salernon nel testo greco.

235 Stessa costruzione nelle due versioni; si comprende che a parlare sia il demonio.

236 …. /In territorio Tanagritano PVM che sembra più corretto e si ritrova nella maggior parte delle versioni latine. Il Tanagro è un affluente della riva sinistra del Sele.

237 …… : assente dai testi latini, questo passaggio ha poco senso all’inizio di frase; ne ha se lo si sposta alla fine come completamento di … .

239 …. / tantillus PVM, come in altre versioni latine.

242 Al singolare nelle due versioni latine: …. / radius.

274 Qui il latino Israel corrisponde all’abbreviazione … .

275 L’insieme della citazione viene dalla preghiera di Zaccaria (Lc 1, 69). In greco: suoi servi; in latino e nel testo biblico: suo popolo.

277 …. è respinto in latino dalla frase seguente (vedi nota precedente).

327 Magganon designa la catasta latina, strumento di tortura analogo ad un letto o una griglia di ferro, su cui il condannato è sdraiato e grigliato; ma la catasta può essere anche una scala su cui il condannato è sospeso, a volte con dei ferri a i piedi, braccia e gambe sono tirate e slogate da macchine, secondo il principio della ruota. Secondo la nota che segue, i manganesi del greco devono corrispondere a questo secondo apparecchio, la catasta del latino al primo.

328 Vedi la rappresentazione di questa scena nella grotta d’Olevano sul Tusciano, evocata all’inizio dell’articolo.

330 Questa compare per la prima volta.

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