Riapre la cripta di Santa Maria Maggiore in San Vito

Il 15 giugno la Messa del vescovo Ruzza. Nel sito archeologico sull’antico Mons Cispius, resti di una strada romana e porzioni delle Mura Serviane

Riapre il sito archeologico adiacente la cripta ubicata sotto la parrocchia di Santa Maria Maggiore in San Vito, nel cuore del quartiere Esquilino, tra la basilica di Santa Maria Maggiore e piazza Vittorio, sull’antico Mons Cispius e dedicata anche ai santi Modesto e Crescenzia. Giovedì 15 giugno, giorno in cui la Chiesa fa memoria del giovane martire san Vito, al termine della Messa solenne celebrata alle 18.30 dal vescovo Gianrico Ruzza, sarà possibile accedere nuovamente ai sotterranei della chiesa. Il parroco di Santa Maria Maggiore in San Vito don Pasquale Magagnini è entusiasta per la riapertura al pubblico: «Era chiusa da una decina di anni per lavori di messa in sicurezza e rifacimento dell’impianto elettrico a norma».

Il sito, racconta don Pasquale, fu scoperto durante lavori di restauro avvenuti tra il 1973 e il 1977, in occasione del quinto centenario della chiesa fatta edificare da Sisto IV nel 1477. «I lavori riportarono alla luce, oltre alla cripta, resti della strada romana (è ben visibile un tratto di basolato) e piccole sezioni di opere idrauliche connesse all’arrivo del più vecchio acquedotto romano, l’Anio Vetus, alla Porta Esquilina». Un primo nucleo cristiano della diaconia si stabilì proprio nei pressi del castellum aquae, sul lato nord della chiesa attuale. Durante gli scavi riemersero anche antiche porzioni di Mura Serviane in blocchi di tufo di Grotta Oscura del VI secolo a.C., che, secondo la tradizione, furono fatte costruire da Tarquinio Prisco e completate da Servio Tullio, dal quale prendono il nome. Studi successivi hanno inoltre accertato che le mura erano fondate nel terreno vergine della valle dell’Esquilino vicino alla prima Porta Esquilina sulla quale, in epoca giulio-claudia, fu ricostruito l’Arco di Gallieno a tre fornici.

La chiesa, già detta “in Macello”, dal vicino Macellum Livia, viene menzionata per la prima volta nella vita di Papa Leone III. Dopo un secolare abbandono Papa Sisto IV, nel 1477, fece erigere l’odierna chiesa affidandola alle monache di San Bernardo. Nei secoli ha subito quattro importanti lavori di restauro. I primi nel 1620, a cura del principe Federico Colonna, guarito miracolosamente per intercessione di san Vito dopo essere stato morso da un cane affetto da rabbia. Nel 1834 i lavori furono commissionati da Pietro Camporese il Giovane. Alla fine del 1800 l’espandersi della città oltre le Mura Serviane, lo sviluppo del rione Esquilino fino a Santa Croce in Gerusalemme e il crescente numero di fedeli indussero a spostare l’ingresso e l’orientamento della chiesa a via Carlo Alberto.

Gli ultimi importanti lavori di restauro risalgono ai primi anni ‘70 quando si decise di riportare la chiesa all’aspetto originale quattrocentesco essendo una delle poche di epoca sistina. L’ingresso fu ricollocato su via di San Vito, con un nuovo spostamento dell’altare. All’interno è custodito un prezioso affresco del 1483, attribuito ad Antoniazzo Romano, raffigurante la Madonna con il Bambino in braccio tra i santi Modesto, Crescenzia, Sebastiano, Margherita e Vito. Nella parete di destra è murata la “pietra scellerata”: secondo la tradizione utilizzata per torturare i cristiani, tra i quali san Vito; in realtà un cippo funerario romano la cui superficie è raschiata perché nel Medioevo si riteneva che la polvere della pietra salvasse dal morso dei cani.

13 giugno 2017

(pubblicato su www.romasette.it)

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