Mure Serviane

Con il nome di “cinta serviana” è nota la cinta muraria urbana più antica di Roma. Secondo la tradizione queste mura furono realizzate dal sesto re di Roma, Servio Tullio, alla metà del VI sec. a.C. In realtà i resti superstiti di esse, in blocchi di tufo, sono più tardi e risalgono all’incirca alla prima metà del IV sec. a.C. Tuttavia, alcuni indizi farebbero presupporre una certa veridicità per una loro originaria creazione al tempo di Servio Tullio. Tra l’altro, infatti, dal momento che molte città dell’Etruria e del Lazio ebbero, anche se già difese per natura, già, in alcuni casi, prima del VI sec. a.C. delle mura difensive, è assurdo pensare che Roma, la quale non era naturalmente difesa, non ne fosse provvista.

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Tratti di mura in cappellaccio (tufo friabile locale) si trovano in vari punti della città: questa cinta più antica doveva seguire lo stesso percorso di quella più recente (del IV sec. a.C.), in tufo di Grotta Oscura. L’uso di questo materiale è un buon elemento di datazione, in quanto le cave di Grotta Oscura furono rese accessibili soltanto in seguito alla conquista di Veio da parte di Roma, nel 396 a.C. Di questa nuova cinta muraria si sentì necessità evidentemente dopo l’occupazione gallica del 390 a.C., che aveva fatto luce sulla insufficienza di quelle precedenti. Livio ne tramanda la data precisa: il 378 a.C., anno di costruzione di un nuovo muro, realizzato saxo quadrato. I blocchi squadrati, alti 59 cm, erano posti alternativamente di testa e di taglio, per un’altezza complessiva di 10 m e una larghezza di 4.

La realizzazione del percorso murario fu curata da più maestranze e ciò può trovare conferma dai punti di sutura all’incontro tra due cantieri, laddove i filari non combaciano perfettamente. Sui blocchi spesso compaiono dei marchi di fabbrica (costituiti da lettere alfabetiche, alcune delle quali greche), che forse servivano a controllare il lavoro di ciascun cantiere. Le mura erano lunghe in totale 11 km e comprendevano una superficie di 426 ettari: era la più ampia città peninsulare. Questo circuito difensivo si snodava lungo il Campidoglio (vi sono ancora dei resti), dove si apriva alla fine della discesa della scalinata una porta, la CATULARIA (Via del Teatro di Marcello). Un’altra porta doveva essere a nord, ai piedi dell’Arx, la FONTINALIS (presso il Museo del Risorgimento). Il tratto che proseguiva sulla collina tra Campidoglio e Quirinale scomparve quando Traiano tagliò questa altura per la costruzione del suo Foro (112 d.C.).

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Via Carlo Alberto

 

Un tratto ben conservato di 10 m di lunghezza si può osservare sul Quirinale a Largo Magnanapoli, nell’aiuola centrale della piazza, forse un fianco della porta SANQUALIS. Da qui le mura correvano sulle pendici occidentali e settentrionali del Quirinale, dove si aprivano la porta SALUTARIS e QUIRINALIS (dai templi della Salus e di Quirino), quindi piegavano a sud verso la porta COLLINA, che era nella zona dell’odierna Via XX settembre. Proprio dalla porta Collina iniziava il tratto delle mura più potentemente fortificato: l’AGGER. Esso giungeva fino alla porta ESQUILINA (cd. Arco di Gallieno, p/o Via Carlo Alberto) e proteggeva la zona più debole della città, costituita da Quirinale, Viminale ed Esquilino, pianeggiante. Quest’opera di fortificazione era costituita da una fossa e da un terrapieno sul margine della fossa. Al fossato seguiva un muro sostenuto da un muro di controscarpa (visibile in parte nei sotterranei della Stazione Termini). Resti dell’Agger possono essere ancora osservati in Piazza dei Cinquecento e in Via Manfredo Fanti. Al centro del terrapieno c’era la porta VIMINALIS.

Terminato il percorso dell’agger ritroviamo le mura presso l’Auditorium di Mecenate (piazza Leopardi): dovevano seguire il Colle Oppio per poi scendere nella valle e quindi risalire sul Celio, dove era la porta QUERQUETULANA (presso la chiesa dei SS. Quattro Coronati) e la porta CAELIMONTANA, giunta fino a noi attraverso il restauro augusteo (odierno arco di Dolabella e Silano, presso S. Maria in Domnica). Scendevano poi nella valle tra Celio e Aventino: presso il lato curvo del Circo Massimo era la porta CAPENA, dalla quale uscivano unite, per poi separarsi, la Via Appia e la Via Latina. Un buon tratto delle mura, circa 42 m, è possibile vederlo lungo Viale Aventino (il pezzo più grandioso dopo quello di P.zza dei Cinquecento), probabilmente nel suo restauro dell’87 a. C., vista la presenza del nucleo cementizio, oltre al paramento in blocchi di tufo. In tale punto si può osservare un arco, probabilmente una camera balistica per catapulte (un altro è in uno stabile presso Largo Magnanapoli). Le mura proseguivano poi costeggiando la collina fino alle pendici meridionali; in esse si aprivano tre porte: la NAEVIA, la RAUDUSCULANA e la LAVERNALIS.

Da qui è difficile stabile il percorso che doveva giungere al Campidoglio: recenti ricerche hanno confermato che il tracciato delle mura seguisse un percorso parallelo al Tevere, ma molto vicino ad esso. Resti furono trovati presso S.Maria in Cosmedin, Piazza Bocca della Verità e il Tempio di Portunus. Qui erano le porte TRIGEMINA, FLUMENTANA e CARMENTALIS. Restauri si ebbero spesso all’indomani di eventi bellici: nel 353, nel 217, nel 212 (durante la seconda guerra punica) nell’87 a.C. (durante la guerra civile tra Mario e Silla). Già dall’età augustea le mura sono del tutto fuori uso, soprattutto l’agger, inglobato in parte nei Giardini di Mecenate. Roma, ormai potentissima, non ha necessità di una cinta difensiva. Solo nel III sec. d.C. l’Urbe avrà di nuovo bisogno di una nuova cinta fortificata contro le prime invasioni barbariche: le Mura Aureliane.

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